Cass., n. 10182, del 4 maggio 2009
obbligo di buona fede oggettiva e di correttezza costituisce autonomo dovere giuridico espressione del principio di solidarieta

I principi di buona fede e correttezza - come previsti dagli artt. 1175 e 1375 cod. civ. - costituiscono ormai parte del tessuto connettivo dell'ordinamento giuridico. L'obbligo di buona fede oggettiva o correttezza, infatti, costituisce un autonomo dovere giuridico, espressione di un generale principio di solidarietà sociale, la cui costituzionalizzazione è ormai pacifica, proprio per il suo rapporto sinergico con il dovere inderogabile di solidarietà di cui all'art. 2 Cost., che a quella clausola generale attribuisce forza normativa e ricchezza di contenuti, applicabile, sia in ambito contrattuale, sia in quello extracontrattuale. Il criterio della buona fede costituisce strumento, per il giudice, atto a controllare, anche in senso modificativo o integrativo, lo statuto negoziale, in funzione di garanzia del giusto equilibrio degli opposti interessi. Calato, poi, nell'ambito contrattuale, è principio ormai consolidato quello per cui la buona fede oggettiva, cioè la reciproca lealtà di condotta, debba presiedere all'esecuzione del contratto, così come alla sua formazione ed alla sua interpretazione ed, in definitiva, accompagnarlo in ogni sua fase. La buona fede, pertanto, si atteggia come un impegno od obbligo di solidarietà, che impone a ciascuna parte di tenere quei comportamenti che, a prescindere da specifici obblighi contrattuali e dal dovere del neminem laedere, senza rappresentare un apprezzabile sacrificio a suo carico, siano idonei a preservare gli interessi dell'altra parte. Lo stesso canone della buona fede in senso oggettivo non impone ai soggetti un comportamento a contenuto prestabilito, ma rileva soltanto come limite esterno all'esercizio di una pretesa, essendo finalizzato al contemperamento degli opposti interessi, componendoli nell'ambito delle rispettive pretese. Diversamente, si assisterebbe ad un contemporaneo abuso, in primis del diritto e, quindi, del processo, intesi come ricorso a forme o strumenti giuridici che, seppure legali, consentono di raggiungere lo scopo eludendo, però, i doveri di correttezza e buona fede. Sotto questo profilo, pertanto, le parti non debbono - nell'ambito del rapporto in essere fra di esse - tenere comportamenti ostruzionistici, volti ad impedire, od a non consentire, la liberazione del debitore, quando questi ha tenuto un comportamento, sia pure non integralmente adempiente, ma, comunque, ho orientato il suo completamento nella direzione desiderata. Soprattutto le parti non debbono tenere un tale comportamento, nella prospettiva di fare ricorso al processo per raggiungere una completa soddisfazione del proprio diritto; e ciò quando, con la loro collaborazione possono ottenere il soddisfacimento della pretesa vantata, attraverso lo spontaneo completamento della esecuzione della prestazione dovuta, da parte del debitore. Diversamente, anche la semplice minaccia dell'azione esecutiva darebbe luogo ad un'attività di esercizio del diritto abusiva, cui va negata legittimità e, quindi, tutela.

FATTO E DIRITTO

E' chiesta la revocazione della sentenza del 6.6.2008 n. 15053, di questa Corte, con la quale e' stato dichiarato inammissibile il ricorso proposto da W.U. avverso la sentenza della Corte d'Appello di Milano del 17.9.2004 perche' tardivo.

Resiste il Condominio.
Il procedimento e' stato avviato ai sensi dell'art. 391 bis c.p.c., comma 4, e art. 380 bis c.p.c., e rimesso - sulla base delle indicazioni contenute nella relazione - alla pubblica udienza.
La relazione depositata in cancelleria ha, infatti, concluso per l'ammissibilita' del ricorso - contenendo lo stesso la indicazione chiara ed immediatamente intellegibile del supposto errore di fatto addebitato alla sentenza impugnata con il ricorso per revocazione, come si desume dal quesito indicato a pag. 10 del ricorso - e per la sua fondatezza.
E' stata fissata l'udienza pubblica odierna per la sua discussione. Il resistente Condominio ha presentato memoria.
L'oggetto del giudizio che ha dato luogo al ricorso per cassazione e' un'opposizione a precetto proposta da W.U. nei confronti del Condominio, relativa al pagamento di spese giudiziali (nella misura di L. 10.602.000 oltre oneri di legge), liquidate dal tribunale di Monza, con riferimento a due giudizi di opposizione ai relativi decreti ingiuntivi, emessi nei confronti della stessa ricorrente.
L'opposizione a precetto e' stata rigettata dal tribunale e la sentenza e' stata confermata dalla Corte d'Appello che, con sentenza del 17.9.2004, ha rigettato l'impugnazione proposta dalla W..
Con il ricorso per cassazione la ricorrente - che ha anche presentato memoria - censura la sentenza impugnata per violazioni di legge e vizi di motivazione. I
n particolare, denuncia che la Corte di merito abbia ritenuto - senza pero' motivare sul punto - che il pagamento dalla stessa effettuato, con bonifico bancario, non fosse satisfattivo dell'intero debito (non essendo comprensivo degli oneri accessori) e, come tale, fosse legittimo il comportamento del condominio che aveva rifiutato un tale pagamento, ai sensi dell'art. 1181 c.c., costituendo lo stesso solo un adempimento parziale.
Inoltre, contesta che la Corte di merito non si sia pronunciata in ordine alla conformita' ai principii di correttezza - ai sensi degli artt. 1175 e 1176 c.c. - di alcuni comportamenti delle parti, come indicati in ricorso.
Sulla revocazione.
Il ricorso per cassazione proposto avverso la sentenza della Corte d'Appello in data 17.9.2004 non e' tardivo, come ha ritenuto questa Corte con la sentenza n. 15 053/2 008 in data 6.6.2008.
Tale sentenza, impugnata con il ricorso per revocazione, da atto che la notificazione del ricorso per cassazione e' avvenuta l'1.2.2005, oltre il termine breve di 60 gg., scaduto il 30.1.2005 prorogato, in quanto domenica, al 31.1.2005. Risulta, viceversa, dall'esame dell'originale del ricorso per cassazione - in particolare si ricava dalla targhetta adesiva applicata al ricorso stesso (p. 12 retro) recante anche il numero cronologico - che lo stesso e' stato consegnato, per la notificazione, all'Ufficiale Giudiziario, con contestuale riscossione dell'importo per notifica urgente, in data 31.1.2005, ed e' stato notificato al destinatario in data 1.2.2005.
Ora, in tema di notificazioni a mezzo del servizio postale, va ricordato che - a seguito delle decisioni della Corte Costituzionale n. 477 del 2002 e, particolarmente, n. 28 del 2004 per la generalizzazione del principio della scissione fra il momento di perfezionamento della notificazione per il notificante e per il destinatario - al ricorrente in cassazione (od al controricorrente, in relazione alla notifica del controricorso), il quale riscontri che il perfezionamento della notificazione nei riguardi della controparte destinataria sia avvenuto in data successiva alla scadenza del termine di impugnazione, ancorche' il perfezionamento nei propri riguardi (momento della consegna dell'atto da notificarsi all'ufficiale giudiziario) si sia collocato anteriormente a quella data, e' consentito di dimostrare la tempestivita' della notificazione e, quindi, l'ammissibilita' del ricorso per cassazione (v. anche Cass. 17.11.2005 n. 23294; Cass. 26.7.2005 n. 15616).
E la prova della tempestiva consegna all'ufficiale giudiziario dell'atto da notificare - in difetto di contestazione della conformita' al vero di quanto da esso indirettamente risulta - puo' essere ricavata dal timbro apposto su tale atto recante il numero cronologico e la data (v. S.U. 20.6.2007 n. 14294 e precedenti richiamati; nonche' successive conformi).
Ne consegue nella specie - per le ragioni dette - che il ricorso per cassazione consegnato all'Ufficiale Giudiziario in data 31.1.2005 (essendo il 30.1.2005 giorno festivo), anche se notificato alla controparte in data 1.2.2005, deve ritenersi tempestivo. All'accoglimento del ricorso per revocazione consegue l'esame del ricorso per cassazione proposto da W.U. avverso la sentenza della Corte d'Appello in data 17.9.2004.
Sul ricorso per cassazione.
Con unico, complesso motivo la ricorrente denuncia l'omesso esame (e relativa pronuncia) sulle domande, eccezioni e circostanze dedotte dalla ricorrente e/o omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione (anche per vizio logico) circa punti decisivi della controversia prospettati dalla stessa, in violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto.
In violazione, tra l'altro, delle norme di cui agli artt. 112 e 115 c.p.c., e art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4; artt. 1175, 1176, 1206, 1219, 1220 e 2729 c.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5.
Il motivo non e' fondato.
La Corte di merito ha rigettato l'appello proposto dall'odierna ricorrente avverso la sentenza di primo grado, che aveva rigettato l'opposizione all'esecuzione dalla stessa proposta, sui seguenti presupposti.
La W. aveva proposto opposizione a precetto intimato per il pagamento del saldo di spese condominiali ed accessori derivanti da due sentenze di rigetto di opposizioni ad altrettanti decreti ingiuntivi nei suoi confronti.
Aveva sostenuto di avere versato, a tal fine, la somma di L. 10.602.000, che il Condominio opposto aveva rifiutato in quanto pagamento parziale e, quindi, non esaustivo.
La W., sia con le difese proposte in primo grado, sia con l'appello proposto a seguito del rigetto dell'opposizione a precetto, aveva contestato al Condominio di avere tenuto una condotta non improntata alla correttezza e lealta', ai sensi dell'art. 1175 c.c., non trattenendo l'importo inviato in acconto, provvedendo poi, non a rimettere il conteggio degli accessori costituiti dal cpa, oneri di registrazione ed altro, ma emettendo il precetto, con incremento di spese.
La Corte di merito ha ritenuto legittima tale condotta evidenziando "che non sia conculcabile il diritto del creditore di rifiutare ex art. 1181 c.c., un adempimento parziale".
Ha motivato, sul punto, ritenendo che "non e' revocabile in dubbio che, con semplice conteggio della percentuale sia per cpa sia per iva, volendo assolverne l'aggiuntivo importo la debitrice avrebbe ben potuto provvedervi facilmente anche senza attenderne la comunicazione della liquidazione da parte del Condominio e da chi per esso. Con cio' stante i precedenti a date le circostanze, procurando di non fornirgli spunti per il qui controverso rifiuto. A quel punto, infatti, la liquidazione residualmente necessaria sarebbe rimasta davvero soltanto quella della tassa di registrazione delle ridette sentenze e delle ancora inerenti spese".
La ricorrente lamenta che la Corte di merito - cosi' come il primo giudice - abbia omesso di pronunciarsi sui rilievi dalla stessa evidenziati che - a suo giudizio - integrerebbero un comportamento non improntato alla correttezza, lealta' e buona fede, indicando, a tal fine, una serie di circostanze in fatto.
In particolare, si legge nella narrativa del ricorso quanto segue. "A seguito di vicende condominiali che avevano condotto alla nomina contemporanea di due amministratori ed al successivo accertamento giudiziale che l'incarico spettava ad amministratore diverso da quello al quale le spese condominiali erano state corrisposte, la sig. W. pagava nuovamente dette spese corrispondendole a quello riconosciuto legittimo e abbandonava le cause di opposizione alle ingiunzioni che si concludevano tuttavia con la condanna alle spese di giudizio, liquidate in L. 5.302.000 per ciascuna causa (in totale L. 10.602.0009), oltre IVA e CPA.
Non appena conosciuto il dispositivo delle sentenze, il 9.07.99 la W. dava disposizioni per l'immediato bonifico al Condominio dell'importo di L. 10.602.000 contemporaneamente informando l'amministratore dell'eseguita operazione con lettera dell'avv. P. che richiedeva all'amministratore stesso l'ammontare degli oneri "accessori per poter provvedere anche al loro pagamento (racc. 9.07.99).
Anziche' rispondere all'invito, l'amministratore ingiungeva alla comparente di pagare nuovamente le somme gia' corrisposte, dandole termine di due giorni bancari per adempiere. E lo faceva con lettera del suo legale, avvocato C., datata 26.11.99 (di quasi sei mesi successiva alla richiesta dell'avv. P. di Milano) inviata non al richiedente, ma all'ignaro avvocato M. di Monza, con allegato "prospetto" nel quale tuttavia non appariva il versamento di L. 10.602.000.
La successiva comunicazione del 3.12.99 dell'avvocato P., che informava l'avvocato C. dell'avvenuto pagamento delle spese legali indicate nel dispositivo della sentenza del Tribunale di Monza e chiedeva una verifica dei reciproci rapporti di debito e credito non veniva riscontrata.
Mentre la ricorrente era in attesa di una risposta (anche solo di cortesia) il legale del Condominio, trascorsi altri sei mesi, procedeva alla notifica del precetto (3.06.00), al quale la comparente proponeva opposizione".
Ora, le vicende di fatto, come riportate dall'odierna ricorrente, si scontrano con le risultanze che emergono dall'esame degli atti, che consentono di ritenere insussistenti - nella specie - i rilievi di violazione dei principi di buona fede e correttezza evidenziati dalla ricorrente.
A tal fine deve, in primo luogo, ribadirsi che i principi di buona fede e correttezza - come previsti dagli artt. 1175 e 1375 c.c., - costituiscono ormai parte del tessuto connettivo dell'ordinamento giuridico.
L'obbligo di buona fede oggettiva o correttezza - infatti - costituisce un autonomo dovere giuridico, espressione di un generale principio di solidarieta' sociale - la cui costituzionalizzazione e' ormai pacifica, proprio per il suo rapporto sinergico con il dovere inderogabile di solidarieta' di cui all'art. 2 Cost., che a quella clausola generale attribuisce forza normativa e ricchezza di contenuti -, applicabile, sia in ambito contrattuale, sia in quello extracontrattuale (v. in questo senso, fra le altre, Cass. 15.2.2007 n. 3462).
In questa prospettiva, si e' giunti ad affermare che il criterio della buona fede costituisce strumento, per il giudice, atto a controllare, anche in senso modificativo o integrativo, lo statuto negoziale, in funzione di garanzia del giusto equilibrio degli opposti interessi (v. S.U.15.11.2007 n. 23 726 ed i richiami ivi contenuti).
Calato, poi, nell'ambito contrattuale, e' principio ormai consolidato quello per cui la buona fede oggettiva, cioe' la reciproca lealta' di condotta, debba presiedere all'esecuzione del contratto, cosi' come alla sua formazione ed alla sua interpretazione ed, in definitiva, accompagnarlo in ogni sua fase.
La buona fede, pertanto, si atteggia come un impegno od obbligo di solidarieta', che impone a ciascuna parte di tenere quei comportamenti che, a prescindere da specifici obblighi contrattuali e dal dovere del neminem laedere, senza rappresentare un apprezzabile sacrificio a suo carico, siano idonei a preservare gli interessi dell'altra parte (Cass. 11.1.2006 n. 264; Cass. 7.6.2006 n. 13345).
Lo stesso canone della buona fede in senso oggettivo non impone ai soggetti un comportamento a contenuto prestabilito, ma rileva soltanto come limite esterno all'esercizio di una pretesa, essendo finalizzato al contemperamento degli opposti interessi, componendoli nell'ambito delle rispettive pretese.
Diversamente, si assisterebbe ad un contemporaneo abuso, in primis del diritto e, quindi, del processo, intesi come ricorso a forme o strumenti giuridici che, seppure legali, consentono di raggiungere lo scopo eludendo, pero', i doveri di correttezza e buona fede.
Sotto questo profilo, pertanto, le parti non debbono nell'ambito del rapporto in essere fra le stesse - tenere comportamenti ostruzionistici, volti ad impedire, od a non consentire, la liberazione del debitore, quando questi ha tenuto un comportamento, sia pure non integralmente adempiente, ma, comunque, ha orientato il suo completamento nella direzione desiderata.
Soprattutto, - vai la pena di ribadirlo - le parti non debbono tenere un tale comportamento, nella prospettiva di fare ricorso al processo per raggiungere una completa soddisfazione del proprio diritto; e cio' quando, con la loro collaborazione possono ottenere il soddisfacimento della pretesa vantata, attraverso lo spontaneo completamento della esecuzione della prestazione dovuta, da parte del debitore.
Diversamente, anche la semplice minaccia dell'azione esecutiva darebbe luogo ad un'attivita' di esercizio del diritto abusiva, cui va negata legittimita' e, quindi, tutela.
Il caso in esame deve, quindi, essere valutato alla luce dei detti principi.
Come gia' anticipato, le censure, sotto questo profilo proposte, non possono essere condivise. E', infatti, ben vero che la ricorrente ha fornito la prova di avere accreditato la somma di L.. 10.602.000, come liquidata dal tribunale di Monza (v. copia bonifico in atti), rimanendo debitrice, pero', per gli oneri accessori. La loro quantificazione l'avv. P. - per conto della W - richiedeva al Condominio in persona del suo legale rappresentante, con lettera raccomandata in data 9.7.1999. Tale missiva, indirizzata al difensore della W., era riscontrata il 26.11.1999 dal legale del Condominio, che rimetteva in allegato prospetto di quanto ancora dovuto dalla Tua assistita in forza delle sentenza 1552/99 e 1486/99 del Tribunale di Monza" e precisava: “Resto in attesa di ricevere l'importo entro il 2.12.p.v., costretto in mancanza a procedere esecutivamente". Il prospetto conteneva anche il conteggio degli accessori ancora dovuti. La successiva missiva dell'avv. P., inviata al legale del Condominio, in data 3.12.1999, e' del seguente tenore: "Con riferimento alla Sua del 26 novembre 1999, pervenuta all'Avv. M. il giorno 29 successivo, La informo che la sig.ra W.: a) ha da tempo corrisposto al Condominio, con riserva, quanto ad esso dovuto in forza delle sentenze 1486 e 1551/99; b) ha piu' volte richiesto al Condominio un rendiconto relativo ai contrapposti crediti e debiti, senza successo". Concludendo "Aggiungo che, ad evitare controversie non necessarie,sarebbe opportuno, oltreche' doveroso, che il Condominio fornisse il rendiconto piu' volte richiesto". L'atto di precetto risulta notificato, una prima volta, all'odierna ricorrente in data 17.1.2000; e, nuovamente, il 3.6.2000 a seguito di errore materiale nella trascrizione dell'atto di pignoramento immobiliare notificato il 6.4.2000.
La vicenda cosi' ripercorsa rende evidente che nessun addebito, relativo a presunte violazioni delle regole generali di correttezza e buona fede, puo' essere mosso al Condominio resistente. A prescindere, infatti, dalle vicende legate alla corresponsione dell'importo di L. 10.602.000 che, nell'economia della vicenda potrebbe anche essere riconosciuto come versato, in parziale adempimento della prestazione dovuta dalla W., a tale titolo, in favore del Condominio, quel che rileva - ai fini della configurabilita' o meno di un comportamento leale e corretto delle parti - e' che, a fronte del puntuale conteggio degli accessori, sicuramente ancora dovuti, e riportati in allegato alla missiva del 26.11.1999, la debitrice ne ha omesso la corresponsione, adducendo di avere corrisposto "da tempo al Condominio, con riserva, quanto ad esso dovuto in forza delle sentenze 1486 e 1551/99", con l'ulteriore richiesta di un rendiconto "relativo ai contrapposti crediti e debiti".
Resta, quindi, superato anche il rilievo - come ritenuto dalla Corte di merito - per il quale "non sia conculcabile il diritto del creditore di rifiutare ex art. 1181 c.c., un adempimento parziale". La Corte, sul punto, si era espressa nel senso che la debitrice, volendo "assolvere l'aggiuntivo importo" avrebbe potuto, attraverso un semplice conteggio della percentuale sia per cpa sia per iva, provvedervi facilmente, "anche senza attenderne la comunicazione della liquidazione da parte del Condominio e da chi per esso"; concludendo che "a quel punto la liquidazione residualmente necessaria sarebbe rimasta davvero soltanto quella della tassa di registrazione delle ridette sentenze e delle ancora inerenti spese". Ora, al di la' della individuazione della parte sulla quale incombeva l'onere di indicazione e quantificazione degli accessori, resta il fatto che tale informazione era stata fornita alla debitrice la quale, anziche' adempiere, ha frapposto ulteriori richieste.
Il Condominio, quindi, ha tenuto nella vicenda una condotta rispettosa dei principi esposti in materia di buona fede e lealta'. A questo punto, non puo' essere piu' seguita la tesi della odierna ricorrente, secondo la quale un comportamento di correttezza e lealta', ai sensi dell'art. 1175 c.c., "avrebbe dovuto condurre il Condominio a trattenere l'importo in acconto e provvedere a rimettere il conteggio degli accessori". La condotta scorretta addebitata, infatti, oltre a non potere essere imputabile all'odierno resistente - il quale aveva posto in essere proprio la condotta dovuta - si sposta sulla odierna ricorrente che, non corrispondendo gli accessori ancora dovuti, e' venuta meno alla obbligazione su di lei gravante, giustificando il successivo ricorso alla procedura esecutiva individuale, intrapresa - in ogni caso - dal creditore dopo un lasso di tempo di gran lunga congrue
Conclusivamente, il ricorso per cassazione va rigettato.
Sussistono giusti motivi per compensare fra le parti le spese del giudizio di revocazione.
Le spese relative al ricorso per cassazione, invece, seguono la soccombenza e, liquidate come in dispositivo, vanno poste a carico della ricorrente.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso per revocazione e rigetta il ricorso proposto avverso la sentenza della Corte d'Appello di Milano in data 17.9.2004. Compensa le spese del giudizio di revocazione. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del ricorso per cassazione, che liquida in complessivi Euro 1.400,00, di cui Euro 1.300,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.

Cosi' deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 12 febbraio 2009.
Depositato in Cancelleria il 4 maggio 2009

 

 

 

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